La conversazione, Venezia, Fenzo, 1758

Vignetta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera d’udienza.
 
 Don FILIBERTO e MARIANA
 
 don Filiberto
505Ehi tedesca.
 Marianna
                          Signore.
 don Filiberto
 Datemi la mia spada e il mio capello.
 Marianna
 Fol capello, fol spata per andar?
 don Filiberto
 Sì, per andar.
 Marianna
                            A tafola
 no foler più mangiar?
 don Filiberto
510Non cercare di più; voglio andar via.
 Marianna
 Subite mi servir fossignoria. (Va per la spada e per il capello)
 don Filiberto
 No, tollerar non posso,
 sia davvero o da scherzo
 sentir che dall’amor di Berenice
515si lusinghi Sandrino
 e che veggassi a lei seder vicino.
 Marianna
 Ecco spata e capello.
 don Filiberto
                                        Vi ringrazio.
 Marianna
 Per povera tedesca
 star niente cortesia?
 don Filiberto
520Tenete. (Le dà la mancia)
 Marianna
                  Ringraziar fossignoria. (Parte)
 
 SCENA II
 
 Don FILIBERTO, poi donna BERENICE
 
 don Filiberto
 E pur non so partire.
 Di gelosia il martire
 sento nell’alma mia...
 Ho rissolto così; voglio andar via.
 Berenice
525Dove don Filiberto?
 Filiberto
                                       Perdonate.
 Ho un affar di premura.
 Berenice
                                               Ah no, restate.
 Lo so che di mia zia
 lo scherzo vi dispiace.
 Ma io colpa non ho, datevi pace.
 Filiberto
530Sandrino in mia presenza
 fa con voi lo sguaiato.
 Berenice
                                          Ei non può dire
 che da me lusingata
 sia la di lui pazzia.
 Filiberto
                                     Non dovevate
 sedere a lui vicino. Ah lo sapete,
535per eccesso d’amor geloso io sono.
 Berenice
 Via, non lo farò più; chiedo perdono.
 Filiberto
 (Ressistere non so).
 Berenice
                                       Mi perdonate?
 Filiberto
 Vi perdono, mio ben.
 Berenice
                                          Dunque restate.
 Filiberto
 Via resterò, per compiacermi ancora.
540Troppo questo mio cuor v’ama e v’adora.
 
    Lo so che il sospetto
 fa torto al mio bene
 ma soffro nel petto
 gli affanni, le pene
545di un timido amor.
 
    Conosco l’error,
 confesso l’inganno;
 me stesso condanno.
 Ma palpito ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Donna BERENICE, poi MADAMA
 
 Berenice
550Ritornar mi vergogno. I convitati
 sanno che scorucciati
 siam Filiberto ed io,
 onde al ritorno mio dalla brigata
 dubito di sentire una risata.
 Madama
555Cosa fate qui sola?
 Berenice
                                     A prender aria
 sono un poco venuta.
 Madama
 Brava; così mi piace.
 Dite; è fatta la pace?
 Berenice
 Con chi?
 Madama
                    Con Filiberto?
 Berenice
                                                 Non so niente.
 Madama
560Dite davvero? Povera innocente!
 Fingere non occorre,
 tutto so, tutto vedo e tutto intendo.
 E il vostro cuor di consolar pretendo.
 Berenice
 Adorabile zia, non so che dire.
565Amor non può mentire.
 È vero; arde il mio cor d’onesto affetto
 e sol da voi consolazione aspetto.
 
    A quel foco che m’accende
 voi porgeste amabil esca.
570Non vi spiaccia, non v’incresca
 le mie brame consolar.
 
    Non sapea che fosse amore.
 Libertà godeva in petto.
 Or mi accese il primo affetto
575e mi sforza a sospirar.
 
 SCENA IV
 
 MADAMA, poi GIACINTO
 
 Madama
 Poveri innamorati!
 Li compatisco affé.
 Farò per lor quel che vorrei per me.
 Giacinto
 Ah madama, ah madama!
 Madama
580Che c’è, signor Giacinto?
 Giacinto
 Oh che vin di Borgogna!
 In Borgogna medesima
 meglio non ne ho trovato,
 meglio non ne ho bevutto in vita mia,
585ei m’ha messo in vigore e in allegria.
 Madama
 Ho piacer che sia buono.
 Giacinto
                                                È perfettissimo. (Traballando un poco)
 Madama
 Forti, forti, signore.
 Giacinto
                                       Io? Son fortissimo.
 Ah madama, madama
 quivi che cosa fate?
590Perché ci abbandonate?
 Madama
                                              Son venuta
 per un picciolo affare.
 Giacinto
                                           Eh vi ho capito.
 Sia detto in confidenza, (Traballando)
 alterata col vin la luminaria,
 siete fuori venuta a prender aria.
 Madama
595Bravo, così va detto,
 io sono un po’ alterata,
 voi siete sincerissimo.
 Giacinto
 Io? Cospetto di Bacco! Io son sanissimo.
 Sono stato capace a’ giorni miei
600io solo contro sei
 fare a chi beve più. Ciascun di loro
 cadde dal vino oppresso
 ed io forte restai qual sono adesso. (Traballando)
 Madama
 È una gran maraviglia.
 Giacinto
                                             In Inghilterra
605ho bevuto in un giorno
 due fiaschi d’acquavite e in Alemagna
 quattordici bottiglie di sciampagna.
 In Parigi ad un pranso
 questo stomacco mio si tranguggiò
610un barile di vino di Bordò.
 E a Vienna tracannai
 tanto vin di Tokai
 che poteva bastar per un congresso
 e pur sano restai qual sono adesso. (Traballando)
 Madama
615Saldi, signor, non mi cascate adosso.
 Giacinto
 So quel che io faccio e traballar non posso.
 
    Viva Bacco il dio del vino
 che consola il nostro cor,
 oh, che caldo malandrino!
620Io mi sento un fiero ardor.
 
    Presto, presto mi abbisogna
 del buon vino di Borgogna
 che mi renda il mio vigor.
 
    Ah madama, ho tanta sete.
625Ma son forte, lo vedete.
 Quattro salti posso far
 e mi sembra di volar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 MADAMA, poi LUCREZIA
 
 Madama
 S’ei beve un altro poco
 lo mettono a dormire.
630Ch’egli beva di più voglio impedire. (In atto d’andarsene)
 Lucrezia
 Amica. (Con qualche agitazione)
 Madama
                  Cos’è stato?
 Lucrezia
 Don Fabio si è attaccato
 con Sandrino a parole.
 Cedere alcun non vuole.
635Onde correte voi
 il progresso a impedir dei sdegni suoi.
 Madama
 Vado imediatamente. (In atto di partire)
 
 SCENA VI
 
 Don FABIO e dette
 
 don Fabio
 Madama, un insolente
 m’inquieta e mi molesta.
 Madama
640Ma che insolenza è questa?
 In casa mia tal cosa?
 Anch’io son puntigliosa,
 questa è una mala azione
 e vuo’ da tutti due soddisfazione.
 don Fabio
645Vi domando perdon.
 Madama
                                         Non vi è perdono.
 don Fabio
 Scusatemi.
 Madama
                        No certo.
 don Fabio
 Farò quel che volete,
 farò quel che vi piace.
 Madama
 Via dunque con Sandrin fate la pace
650e tutti unitamente
 passerem la giornata allegramente.
 
    Farò venire Puricinella
 colla Simona, torototò.
 In gondoleta poscia anderemo,
655ci prenderemo tanto piacer.
 
    Che bel sentire:
 «Sia... Premi... Stali,
 toppa int’i pali».
 Per i canali
660che bell’andar!
 
    Via, che si goda,
 via, che si sguazza,
 che si sbabazza.
 Si ha da goder.
 
 SCENA VII
 
 LUCREZIA e don FABIO
 
 don Fabio
665Sì, me la pagherai. (Verso la scena)
 Lucrezia
                                      Gridate ancora?
 don Fabio
 E chi son io farò vederti or ora.
 Lucrezia
 Via, siate buoni amici,
 ogni tristo pensier vada in oblio.
 don Fabio
 Non si tratta così con un par mio.
 Lucrezia
670Finalmente Sandrino
 che cosa mai v’ha detto?
 don Fabio
 Mi ha perduto il rispetto.
 Lucrezia
                                                 E in qual maniera?
 don Fabio
 Con lingua menzognera
 contro quell’umiltà ch’usar costumo,
675disse ch’io sono il cavalier del Fumo.
 Lucrezia
 In bocca di Sandrino
 codesta un’insolenza non si chiama
 perché ha detto lo stesso anche madama.
 don Fabio
 Madama ha detto questo?
 Lucrezia
680L’ha detto in verità.
 don Fabio
 Non si tratta così la nobiltà.
 Si sanno i miei natali,
 son le mie parentelle al mondo note.
 Ho un principe nipote.
685Ho un cognato marchese.
 Mia madre fu contessa
 e la signora nonna baronessa.
 Lucrezia
 M’inchino riverente alla gran donna
 di sì gran cavalier nonna e bisnonna.
 
 SCENA VIII
 
 Don FABIO, poi SANDRINO, poi due servitori
 
 don Fabio
690Non so se mi corbelli
 o se dica davvero. Ma che importa?
 Facciano il lor dovere e mi contento
 che lo facciano ancor per complimento.
 Sandrino
 (Eccolo; non vorrei
695precipitar con questo animalaccio).
 don Fabio
 (Eccolo qui quel brutto villanaccio).
 Sandrino
 (Ho promesso a madama;
 voglio dissimulare).
 don Fabio
                                       (In casa d’altri
 non vuo’ fare altre scene).
 Sandrino
700(Non mi posso sfogar).
 don Fabio
                                            (Tacer conviene).
 Sandrino
 Schiavo suo. (Passegiando)
 don Fabio
                           Vi saluto. (Passegiando)
 Sandrino
 Che civiltà.
 don Fabio
                        Che dite?
 Sandrino
 Io non parlo con lei.
 don Fabio
 Badate ai fatti vostri, io bado ai miei.
 Sandrino
705Voglio seder. (Siede)
 don Fabio
                            Voglio sedere anch’io. (Siede)
 Sandrino
 Con licenza, signor. (Gli volta le spalle)
 don Fabio
                                       Padrone mio. (Gli volta le spalle)
 Sandrino
 (Andarsene potria; se vien madama,
 vorrei star seco, senza soggezione.
 Non vorrei che vi fosse quel buffone).
 don Fabio
710(Se vien qui Berenice,
 costui mi reca impaccio.
 Quando mai se ne va l’ignorantaccio?)
 Sandrino
 Ehi! Lacchè. (Viene un lacchè ben vestito)
 don Fabio
                           Vuo’ sentire. (Si volta un poco)
 Sandrino
                                                     Alla locanda
 portati immantinente. Il mio burrò
715apri con questa chiave.
 Portami quel cestino
 d’orologi, d’astucci e tabacchiere. (Parte il lacchè)
 (Andarsene dovria per non vedere). (Parla di don Fabio)
 don Fabio
 Ehi staffiere. (Viene un staffiere miserabile)
 Sandrino
                            Sentiamo.
 don Fabio
720Va’ tosto al mio palazzo.
 Portami quei ritratti,
 coll’arbore dipinto
 della mia nobiltà. (Parte lo staffiere)
 (Quel villanaccio si vergognerà).
 Sandrino
725Lacchè. (Ritorna) Di questa casa
 si allarghino le porte
 perché possa passare
 l’albero di don Fabio e le radici
 e i suoi ritratti colle sue cornici. (Il lacchè parte)
 don Fabio
730Staffier. Suona la tromba,
 fa’ che le genti corrano di trotto
 a vedere Sandrino a far casotto.
 Sandrino
 Al casotto potrei
 tirar delle persone
735se, qual siete voi, fossi un buffone. (Si alza)
 don Fabio
 Buffone ad un par mio?
 Son cavaliere.
 Sandrino
                             Un galantuom son io.
 don Fabio
 
    Siete rozzo.
 
 Sandrino
 
                           Siette pazzo.
 
 don Fabio
 
 Villanaccio.
 
 Sandrino
 
                        Ignorantaccio.
 
 don Fabio
 
740Non mi degno.
 
 Sandrino
 
                              Se mi sdegno...
 
 don Fabio
 
 Cospettaccio.
 
 Sandrino
 
                           Sanguinaccio.
 
 don Fabio
 
 Malagrazia.
 
 Sandrino
 
                         Brutta faccia.
 
 a due
 
    Colla spada sulla strada
 ti prometto che ti aspetto
745ed il cor ti vuo’ cavar. (Partono)
 
 SCENA IX
 
 Camera con tavola preparata con caffè, rosolini e varie bottiglie di vino.
 
 MADAMA, GIACINTO, LUCREZIA
 
 Madama
 Ecco, ecco, signori,
 il caffè, le bottiglie ed i licori.
 Favorite sedere e ognun si servi
 di quel che più gli piace. (Siedono tutti)
 Lucrezia
750Prenderò il rosolino.
 Giacinto
 Ed io piuttosto un bicchierin di vino.
 Madama
 Che si serva ciascuno a suo talento.
 Giacinto
 Un bicchier di Canarie
 ecco a voi mia signora. (A Lucrezia)
755Ed un bicchiere a madamina ancora.
 À buer à buer, allegraman.
 Che si beva e si canti alla santé
 della bonn’amitié.
 
    Visage adorable
760je mour pour vous.
 Ah je vous eme
 de tu mon cour,
 vous ête la flamme
 de mon amour.
 
 don Fabio
765Voi che foste a Venezia
 dove soglion cantare
 con sì bella grazina
 diteci qualche nuova canzoncina.
 Madama
 Subito volentieri.
 Giacinto
770Che si tornino a empir prima i bicchieri. (Torna a riempire i bicchieri)
 Madama
 
    Sia benedetto
 chi me vol ben,
 pien de diletto
 giubila el sen.
 
775   Me sento in gringola
 quando che el vien,
 caro quel coccolo,
 caro el mio ben.
 
 Sandrino
 Voi, Lucrezia, che siete
780nata in quel bel paese,
 diteci una canzone bolognese.
 Lucrezia
 Subito. E perché no?
 Non mi faccio pregar. La canterò.
 
    Tutt al dì de za e de là
785vagh in zir per la città
 per trovarm un bel marì.
 
    A ’l vui bel e sì a ’l vui bon,
 vui che l’abbia d’ bagaron
 e ch’al sippia tutt per mi.
 
790   Certi ominazz
 birichinazz
 a ’n i vui, ch’a ’n fan per mi.
 
 don Fabio
 Io cantare non so
 ma pure vi darò
795qualche divertimento.
 Sono, se nol sapete,
 un maestro di ballo,
 di scherma e cavalletto,
 venite al mio cospetto
800uomini senza pari,
 venite ignorantissimi scolari.
 
    Ecco il famoso
 monsieur Coccò.
 Questo è quel grande monsieur Rebaltò,
805gambe di ferro è questo ch’è qui.
 
    Presto ballate,
 franco tirate,
 presto saltate,
 che ve ne par?
810Bravi scolari vi vuo’ regalar.
 
 Sandrino
 Io io signore mie,
 se libertà mi date,
 voglio trattarvi come meritate.
 Lacchè.
 Lucrezia
                 Cosa farà?
 Madama
815Qualche cosa di bello in verità. (Viene il lacchè colla cesta di galantarie)
 Sandrino
 
    Madama a voi l’astuccio.
 A voi la tabacchiera.
 A voi di Londra vera
 questa repitizion.
 
 Madama, Lucrezia, Giacinto a tre
 
820   Viva Sandrino
 ricco sfondato
 che ha presentato
 questo suo don.
 
 Sandrino
 
    In Inghilterra
825meglio non v’ha.
 
 Lucrezia, Madama a due
 
    Tutta la terra
 meglio non ha.
 
 a quattro
 
    O che gran cose
 maravigliose!
830Cosa più bella
 no non si dà.
 
 don Fabio (Con un servitore che porta i quadri)
 
    Ecco l’effigie del signor padre,
 questa è l’illustre signora madre.
 Del signor nonno questo è il ritratto,
835uno per uno li vuo’ donar.
 
 Madama, Lucrezia, Giacinto a tre
 
    Viva il gran padre,
 viva la madre
 e il signor nonno
 viva di cor.
 
 Sandrino
 
840   Belle figure!
 Caricature
 non ho veduto
 certo maggior.
 
 don Fabio
 
    Non vi è pennello,
845no, che l’eguagli.
 
 Giacinto
 
 Son da ventagli.
 
 Sandrino
 
 Sono da cembali.
 
 Madama, Lucrezia a due
 
 Sono da mettere
 sotto al camin.
 
 don Fabio
 
850   Questo strapazzo
 a me si fa?
 
 Sandrino
 
    Voi siete un pazzo,
 questo si sa.
 
 don Fabio
 
    Tacci villano.
 
 Sandrino
 
855Tacci baggiano.
 
 don Fabio
 
 Col signor nonno
 ti accoperò. (Gli vuol dare il quadro sulla testa)
 
 tutti
 
    Oh che insolenza,
 che impertinenza,
860sempre si sbuffa,
 sempre baruffa.
 Corpo del diavolo
 che inciviltà.
 
 Fine dell’atto secondo